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Covid-19

Una guida per reagire

 

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Covid-19 è una emergenza sanitaria che sta avendo effetti devastanti sulla tenuta del nostro sistema sanitario e che testerà la tenuta del nostro sistema imprenditoriale.  Lo scenario economico che ci apprestiamo ad affrontare appare infatti connotato da grande incertezza. Calo del fatturato e difficile prevedibilità circa la durata degli effetti della pandemia rende necessario un tempestivo check-up per garantire condizioni di sicurezza all’interno della propria attività ed evitare squilibri o rischi finanziari nel medio periodo. Con una serie di articoli, analizziamo le novità legislative introdotte per fronteggiare il virus.

Capitale sociale

Abbandono dei limiti di capitale

Le probabili ripercussioni dello stop produttivo e del rallentamento nel loro fatturato sullo stato patrimoniale delle imprese hanno suggerito al governo di assumere misure drastiche che sono destinate ad incidere su aspetti fondamentali del diritto delle società e, in particolare, sui requisiti minimi di capitale.

L’art. 6 D.L. 23/2020 prevede infatti che, in caso di riduzione del capitale per perdite anche laddove ciò comporti un erosione del capitale sociale al di sotto del capitale legale minimo, non si applicano le norme che impongono la riduzione del capitale sociale ed il contemporaneo aumento dello stesso in modo da reintegrare il capitale sociale (artt. 2446 co. 2 e 3, 2447, 2482 bis co. 4, 5 e 6 e 2482 ter cod.civ.).

Viene pertanto superato un dogma, quello del capitale minimo, che costituisce un importante presidio a tutela dei creditori sociali e dei soci che non partecipano alla gestione della società.

La legislazione di emergenza in cui la deroga è contenuto appare, tuttavia, contraddittoria. Infatti, la norma non deroga l’art. 2446 comma 1 cod. civ. e, pertanto, sembra permanere l’onere in capo agli amministratori di una società che abbia perso più di un terzo del capitale di convocare l’assemblea per valutare l’assunzione dei più opportuni provvedimenti. Per l’effetto, nonostante il DL 23/20 non lo specifichi, tale onere deve ritenersi sussistere anche in caso di riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale, dovendosi ritenere che l’unica deroga emergenziale voluta dal legislatore sia la necessità di reintegra immediata del capitale sociale. Non vi sono ragioni, infatti, per una deroga ai doveri di informazione della compagine sociale.

L’intenzione del legislatore è quello di consentire a molte imprese, che non hanno la possibilità di reintegrare il capitale, di affrontare la crisi godendo di un periodo di grazia che consenta loro di ritrovare il proprio equilibrio patrimoniale. Tuttavia, la misura potrebbe essere anticiclica dal momento che dissuaderà anche le imprese che hanno la possibilità di reintegrare il capitale dal farlo, con una esternalizzazione dei rischi di impresa sui creditori sociali.

Bisogna chiedersi, poi, e pare preferibile la risposta negativa, se la deroga ai requisiti minimi di capitale comporti altresì una deroga alla responsabilità degli amministratori per l’aggravamento del dissesto e per avere operato senza avere preso atto della necessità di ricapitalizzare la società.

Ovviamente, la deroga voluta dal legislatore dell’emergenza porrà dei problemi enormi nella determinazione della responsabilità degli amministratori di quelle società che hanno operato aggravando il dissesto. Ad una prima riflessione, appare possibile ritenere che la migliore ricostruzione della responsabilità amministrativa dovrà sapere isolare le ragioni del dissesto esogene alla società e correlate alla crisi dalle cause endogene ed attribuibili ad una erronea gestione. Appare evidente che la declinazione in concreto di tale distinguo è tutt’altro che facile.

La postergazione dei finanziamenti

Criticabile appare la scelta di acconsentire una deroga anche alla disciplina che classifica come postergati quei finanziamenti soci o finanziamenti infragruppo effettuati in una situazione patrimoniale sbilanciata che dovrebbe giustificare un finanziamento in conto capitale (art. 2467 e 2497 quinquies cod.civ.). L’intendimento del governo è chiaro: si vuole favorire il finanziamento dell’impresa assicurando al socio la possibilità di vedere reintegrato il proprio prestito in condizioni paritarie o addirittura privilegiate rispetto alla compagine dei creditori sociali (si pensi al caso in cui il socio collateralizzi il proprio credito o, in generale, sia preferito nel rimborso in via di fatto rispetto agli altri creditori).

Tuttavia, tale previsione, soprattutto se letta congiuntamente all’esonero dal rispetto delle regole del capitale sociale, si presta a utilizzi strumentali e spregiudicati dello strumento del finanziamento soci di cui sembrerebbe possibile un rimborso prioritario anche rispetto a quegli stessi creditori volontari o involontari che danno fiducia all’impresa in tempi di crisi.

Peraltro, la decisione dell’imprenditore di investire nel capitale di rischio nella propria impresa ha da sempre un significato importante: dimostra che l’imprenditore crede al proprio progetto imprenditoriale e alla propria capacità di superare la crisi. Non si comprende, pertanto, una scelta legislativa che potrebbe favorire iniziative imprenditoriali destinate all’insuccesso con aggravamento del dissesto e ripercussioni sistemiche a carico dell’indotto che orbita attorno alla società.

Vi è tempo per una modifica in sede di conversione.  

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