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Violazione degli obblighi informativi e nullità del contratto di investimento

La Corte di Cassazione, con sentenza del 9 febbraio 2016 n. 2535, ha affrontato il tema degli obblighi informativi posti in capo ad un intermediario finanziario nell’ambito dei contratti di investimento conclusi con i clienti. Il Collegio, nel richiamare alcuni principi da tempo affermati in giurisprudenza, ha avuto modo di precisare la portata e l’ampiezza degli obblighi di diligenza e trasparenza che incombono sull’intermediario, al fine di tutelare ed agevolare la clientela nel compimento di consapevoli scelte di investimento; statuendo che il mancato rispetto di detti obblighi informativi determina la nullità dei contratti di investimento.

La vicenda posta al vaglio del Corte trae origine dal caso di due investitori che, nell’anno 2000, stipulavano un contratto di acquisto di titoli della società “Cirio” con il Banco Ambrosiano Veneto (oggi Intesa San Paolo s.p.a.) per l’importo di € 320.000,00 e l’anno successivo effettuavano una nuova operazione di investimento per € 60.000,00. Detti investitori, nell’anno 2004, a poco più di un anno dal fallimento di alcune società del Gruppo Cirio, convenivano in giudizio l’istituto di credito, al fine di sentire dichiarare la nullità dei contratti di investimento, in quanto conclusi dalla banca in violazione degli obblighi di informazione imposti, secondo quanto previsto dalla normativa di riferimento (art. 21 del D.lgs n. 58 del 1998 – Testo Unico in materia di intermediazione finanziaria – e artt. 28 e 29 del Reg. CONSOB n. 11522 del 1998).

Il Giudice di prime cure rigettava la domanda avanzata dagli attori. In riforma dell’impugnata sentenza, la Corte D’appello, ravvisata la violazione degli obblighi di informazione che incombono sull’intermediario finanziario, condannava la banca Intesa San Paolo s.p.a al pagamento agli investitori di un importo di € 260.000,00, oltre agli interessi legali e alle spese. Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso Intesa San Paolo s.p.a.

Il Collegio nella motivazione della sentenza in esame ha richiamato un principio già da tempo espresso in giurisprudenza, secondo il quale la banca intermediaria, prima di compiere operazioni di investimento, è tenuta a fornire all’investitore “un’informazione adeguata in concreto”, articolata in base alle esigenze del singolo rapporto e alla situazione finanziaria del cliente.

I soggetti abilitati a compiere operazioni finanziarie sono tenuti a fornire ai clienti informazioni adeguate circa la natura e le caratteristiche degli strumenti finanziari, il rating del prodotto, l’emittente e il rendimento degli strumenti ovvero sull’eventuale imminente default economico dell’emittente (art. 21 T.U. In materia di intermediazione finanziaria e art. 28 Reg. Consob, abrogato nel 2007, ma applicabile alla fattispecie in esame). Gli intermediari, al fine di effettuare operazioni di investimento, tengono conto delle informazioni relative ai servizi di investimento prestati, astenendosi dal compiere, per conto dei clienti investitori, operazioni non adeguate e non consapevoli (art .29 Reg. CONSOB 11522/1998).

La Corte ha precisato che l’operatività dell’obbligo informativo della banca non trova alcuna limitazione nell’ipotesi in cui i clienti siano investitori abituali, che in precedenza abbiano già acquistato altri titoli ad rischio, perchè detta circostanza non è sufficiente ad attribuire loro la qualità di “operatori qualificati”, così come delineata dall’art. 31 comma 2 del Reg. CONSOB n. 11522/1998. La qualità di operatori qualificati, infatti, presuppone la sussistenza in capo a detti soggetti, sia persone fisiche che persone giuridiche, di specifiche competenze ed esperienze in materia di operazioni in strumenti finanziari.

La professionalità e la diligenza richiesta all’intermediario finanziario non trovano limitazioni nemmeno con riferimento al caso di ordini vincolanti impartiti dal cliente e relativi al compimento di operazioni di investimento rischiose. In dette circostanze, la banca, consapevole del rischio sotteso all’investimento, ha la facoltà di recedere dall’incarico, ai sensi dell’art 24, comma 1, lettera d) D.lgs. n. 58/1998 ( T.U. Delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria), in quanto ordini di investimento integrano una giusta causa di recesso dal mandato, secondo quanto previsto dall’art 1727 comma 1 c.c.

L’intermediario finanziario deve quindi adottare una condotta altamente professionale e prudente, finalizzata a tutelare il cliente e a segnalare a quest’ultimo l’eventuale inadeguatezza delle operazioni di investimento che intende compiere.

Detti profili di professionalità e diligenza non sono stati ravvisati nella condotta della banca Intesa San Paolo, che si era limitata a fornire una generica dichiarazione rivolta agli investitori (“non esiste alcuna garanzia di mantenere invariato il valore dell’investimento”), senza indicare agli stessi le caratteristiche del titolo, la natura dell’emittente e, in modo particolare, senza segnalare ai clienti che il crollo delle obbligazioni della Cirio era imminente, al momento della sottoscrizione del contratto di investimento.

Il collegio, alla luce dei principi di diligenza richiamati, ha rigettato tutti i motivi di ricorso, affermando che gli investitori, in conformità alla più recente giurisprudenza sul punto (Cass. 18039/2012), avevano ritualmente allegato l’inadempimento informativo della Banca e il nesso causale tra detto inadempimento e il pregiudizio lamentato. Al contrario, la Banca non aveva assolto l’onere della prova su di essa incombente e relativo alla dimostrazione dell’assolvimento degli obblighi informativi posti a suo carico.