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La transazione con la curatela costituisce una attenuante di cui il giudice penale deve tenere conto.

 

La Suprema Corte, con la sentenza n. 8644/2016, sembra aver premiato la tenacia dell’amministratore di una srl, poi dichiarata fallita, sul quale pendeva un procedimento con l’accusa di bancarotta fraudolenta patrimoniale.

L’amministratore aveva visto disattese le proprie aspettative sia nel primo che nel secondo grado di giudizio, ma la Cassazione ha ribaltato il verdetto finale.

La motivazione? L’imputato aveva raggiunto un accordo transattivo con la Curatela con cui si accollava parte del danno arrecato alla fallita.

Tale ammissione di responsabilità ha consentito all’uomo di poter chiedere al giudice penale la riduzione della pena.

Il giudice di prime cure ha respinto la richiesta dell’uomo che, avanti alla corte d’appello, ha impugnato la sentenza, rilevando, altresì, l’eccessività della pena irrogatagli.

La Corte d’appello, ribadisce l’orientamento manifestato dal Tribunale, stavolta perché la riduzione della pena sarebbe stata richiesta in virtù di un generico riferimento, peraltro non documentato, ad una transazione raggiunta dall’uomo con il Fallimento.

La Suprema Corte ha annullato la sentenza e ha disposto la trasmissione degli atti alla Corte d’appello intimandola ad uniformarsi all’indirizzo per cui non è da ritenere motivato il rigetto per inammissibilità della richiesta di riduzione della pena perché rappresentata in modo generico, qualora l’accordo transattivo risulti dagli atti di causa.