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“La commissione del reato da parte dell’ente non equivale a dimostrare che il modello organizzativo non sia idoneo. Il rischio reato viene ritenuto accettabile quando il sistema di prevenzione non possa essere aggirato se non fraudolentemente”.
(Cass. sent. n. 23401/2022)
Le sentenze rese nell’ambito della saga giudiziaria Impregilo hanno fatto scuola in un contesto - quello “della 231” - e in un momento storico - il primo decennio di vita del decreto - in cui vi era molto da insegnare e altrettanto da apprendere sui meccanismi di funzionamento della neonata responsabilità degli enti derivante da reato.
Autorevole dottrina si è spinta a dire, in riferimento a questa vicenda, che il GIP di Milano abbia, con un’interpretazione coraggiosa e non si sa quanto consapevole, “fatto prosa senza saperlo”.
All’epoca dei fatti, l’Impregilo s.p.a. era un’impresa di costruzione di infrastrutture quotata in borsa.
Nel 2007 si è verificato un fatto di aggiotaggio informativo (reato introdotto nel catalogo dei reati presupposto con la riforma del 2005): vi era stata una presunta manipolazione del mercato, mediante diffusione di un comunicato falso ed idoneo ad alterare il valore del prezzo delle azioni con finalità speculative. Nonostante la condotta fosse stata posta in essere da una persona fisica, è stato imputato anche l’ente, perché è stato ritenuto ravvisabile un interesse e perché l’ente ne aveva tratto un vantaggio, lucrandovi. Si rammenta, per completezza, che interesse e vantaggio sono i due criteri oggettivi, tra di loro alternativi, fondanti la responsabilità delle persone giuridiche nell’ambito del decreto legislativo 231/2001.
La società era dotata di un modello di organizzazione e gestione (c.d. MOG), il quale, nonostante l’aggiotaggio fosse stato solo di recente introdotto nel catalogo dei reati presupposto, era stato aggiornato, mappandone il relativo rischio.
Il problema si è posto con riferimento alla parte speciale del MOG, ovvero l’individuazione dei precetti comportamentali per la gestione di uno specifico rischio.
In primo grado è stata condannata la persona fisica ed assolta la società ai sensi dell’articolo 6 del decreto, perché era stata ritenuta integrata l’ipotesi di elusione fraudolenta del modello da parte di un soggetto apicale, nonostante l’astratta idoneità di questo. La Corte d’appello ha respinto il gravame, ritenendo anch’essa che vi fosse stato un comportamento elusivo. La Suprema Corte, invece, si è concentrata su alcuni aspetti problematici e significativi: in primis, il rischio di una c.d. probatio diabolica nella valutazione della idoneità del modello.
In altre parole, ha cercato di arginare la “moda”, invalsa nella prassi giurisprudenziale, di ricorrere al pericoloso meccanismo della presunzione di inidoneità del modello: dal momento che un reato è stato commesso, ciò significa (automaticamente) che il modello organizzativo fosse inidoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi.
Si tratta, evidentemente, di una tautologia inaccettabile, che mina alle fondamenta ogni garanzia di legalità.
La Cassazione ha quindi proposto una lettura alternativa maggiormente aderente alla lettera della legge: l’azione fraudolenta è tale solamente quando si concreta in un aggiramento del modello rispetto ad una regola organizzativa che la società avrebbe dovuto porsi.
In presenza di un reato commesso nell’esercizio di un’impresa, secondo la Suprema Corte, nell’ambito di un giudizio di merito, è necessaria la prova:
Evidentemente ispirata da istanze garantiste, la Corte si è inoltre espressa sui parametri del giudizio di adeguatezza del modello organizzativo. Quando il MOG può essere ritenuto autorevole e, quindi, paralizzare l’affermazione di colpevolezza dell’ente? Il comma quarto dell’articolo 6 del decreto, nel prevedere che i modelli possano essere adottati sulla base di codici di comportamento redatti dalle associazioni rappresentative degli enti e comunicati al Ministero della Giustizia (per eventuali osservazioni di concerto con i Ministeri competenti) esprime l’esigenza di introdurre un meccanismo che fissi parametri orientativi per le imprese e le società. Diversamente da quanto sostenuto da entrambi i giudici di merito, per la Suprema Corte le linee guida elaborate dagli enti rappresentativi di categoria non possono rappresentare la regola organizzativa esclusiva ed esaustiva. La redazione e l’implementazione del modello da parte dell’impresa si deve fondare su un processo di auto-normazione, in cui è l’impresa in prima persona ad individuare le cautele da porre in essere per ridurre il rischio di commissione dei reati, potendo tenere conto, laddove sia utile, delle indicazioni delle associazioni di categoria. Il MOG deve essere, quindi, “fatto su misura” per la società stessa: soltanto se calibrato sulle specifiche caratteristiche dell’ente (dimensioni, tipo di attività, evoluzione diacronica et cetera), esso può ritenersi effettivamente idoneo.
Dopo cinque gradi di giudizio, la Corte di Cassazione ha infine statuito con sentenza n. 23401/2022, in via definitiva, che Impregilo s.p.a. non è responsabile del reato di aggiotaggio informativo.
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Marco Amorese
Cecilia Medri