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Quali tutele per i lavoratori impatriati in Italia?
Nell’ambito del suo contratto di lavoro, ad una persona può essere richiesto di svolgere temporaneamente le sue mansioni in un altro Stato membro dell’UE. Tale spostamento rientra nell’ambito della libera prestazione di servizi e non della libera circolazione dei lavoratori (cfr. Rush Portuguesa, CGCE, C-113/89), a differenza del caso in cui un lavoratore decide di trasferirsi in un’altro Stato membro per trovarvi un nuovo lavoro. Ciò significa, quindi, che una società tedesca che impiega lavoratori turchi (ricordiamo che la Turchia non fa parte dell’UE) può legittimamente inviare i propri dipendenti turchi a lavorare nei Paesi Bassi nell’ambito di un contratto di fornitura di servizi, senza che alcuno dei lavoratori debba ottenere un permesso per lavorare nei Paesi Bassi (esempio da Essent, CGUE, C-204/12).
Nonostante il trasferimento temporaneo, il contratto di lavoro rimane in linea di principio soggetto alla legge del paese d’origine, ossia del paese in cui il lavoratore svolge abitualmente il suo lavoro, ai sensi dell’articolo 8, comma 2, del Regolamento Roma I (n. 593/2008). Come in ogni contratto, le parti sono in grado di scegliere la legge applicabile. In tal caso, il contratto di lavoro sarà disciplinato dalla legge ivi designata, purché il lavoratore non sia privato della protezione assicuratagli dalle norme imperative della legge che sarebbe applicabile in mancanza di scelta (articolo 8, comma 1).
Questa pratica di distacco dei lavoratori favorisce il “dumping sociale”, cioè una competizione al ribasso, a scapito delle tutele sociali. In effetti, anche all’interno dell’UE esistono differenze in termini di costo della manodopera e di protezione sociale, con livelli generalmente più bassi nei paesi dell’Europa orientale. Applicando senza alcun accorgimento le regole di conflitto di leggi sopra menzionate sarebbe quindi possibile impiegare lavoratori stranieri con salari più bassi e condizioni di lavoro meno protettive rispetto a quelle abituali nel paese ospitante, poiché tali lavoratori rimarrebbero soggetti alla legge del loro paese d’origine.
Per combattere questo fenomeno, il legislatore europeo ha introdotto (con la Direttiva 96/71/CE, modificata dalla Direttiva 2018/957/CE e completata dalla Direttiva 2014/67/UE) l’obbligo di applicare al rapporto di lavoro alcune norme dello Stato membro ospitante che costituiscono un “nucleo di norme inderogabili ai fini della protezione minima” del lavoratore, indipendentemente dalla legge applicabile. Questo “nocciolo duro”, menzionato all’articolo 3 della direttiva, consiste in norme stabilite “da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative e/o da contratti collettivi o da arbitrati (…) di applicazione generale”, tra l’altro, nei seguenti ambiti: periodi massimi di lavoro e periodi minimi di riposo, tariffe minime salariali, salute, sicurezza e igiene sul lavoro, condizioni di lavoro e di occupazione per le donne incinte o puerpere, parità tra uomini e donne. Tuttavia, tale disposizione non sembra tenere conto della diversità del panorama sindacale negli Stati membri dell’UE.
Ad esempio, in Italia, anche se esistono contratti collettivi nazionali (“CCNL”), questi ultimi non hanno efficacia generale e la giurisprudenza ha individuato, per la sola parte retributiva, un’estensione anche ai soggetti non firmatari degli accordi fondata sull’art. 36 Cost.. Tuttavia, si pone il problema di quale parte del corpus normativo coperto dalla contrattazione collettiva appartenga al cosiddetto “nocciolo duro” previsto dal diritto dell’UE. Infatti, l’articolo 39 della Costituzione italiana, che sancisce il principio della libertà sindacale, impedisce l’applicazione di un contratto collettivo ad un sindacato non stipulante o ad un lavoratore non iscritto a tali sindacati (cfr. Corte d’appello di Napoli, 3 febbraio 2022, n. 94). Al contrario, il caso francese non presenta particolari problemi, poiché la maggior parte dei contratti collettivi non sono solo nazionali (“CCN”, convention collective nationale), ma anche con effetto erga omnes: quando una CCN si applica all’azienda, riguarda tutti i suoi dipendenti senza eccezioni.
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Marco Amorese
Jeanne Deniau