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Preconcordato e reiterazione della domanda

 

Con la sentenza n. 6277, depositata il 31 marzo 2016, la Corte di Cassazione ha chiarito la natura perentoria del termine di cui all’art. 161 co. 6 L.F. e ha dunque affermato che, in caso di inosservanza di detto termine, la domanda di concordato preventivo “con riserva” deve essere dichiarata inammissibile, salva la facoltà per il debitore di presentare una nuova domanda ex art. 161 co. 1 L.F., da cui si desuma la rinuncia a quella con riserva e che non si traduca in un abuso del diritto.

Il caso

Nel marzo 2013, il Tribunale di Napoli dichiarava il fallimento di A. spa in liquidazione e, al contempo, l’inammissibilità della domanda di concordato preventivo “con riserva”, presentata dalla società a settembre 2012 in seguito alla mancata approvazione, da parte dei creditori, di una prima domanda depositata nel gennaio 2011.

Successivamente, attesa l’intervenuta dichiarazione di fallimento, il Tribunale dichiarava improcedibile una terza domanda di concordato, depositata da A. nel febbraio 2013.

Il reclamo proposto dalla società avverso i tre provvedimenti del Tribunale di Napoli veniva respinto dalla Corte d’Appello, che, nel confermare la dichiarazione di inammissibilità della domanda di concordato preventivo “con riserva”, rilevava che A. non aveva presentato la proposta, il piano e la documentazione entro il termine assegnatole, che andava condiviso il giudizio del Tribunale in merito all’insussistenza di giustificati motivi per la proroga del termine, e, ancora, che era da escludere che il fallimento non potesse essere dichiarato in virtù dell’avvenuto deposito, prima della dichiarazione di fallimento, di un’ulteriore domanda di concordato preventivo, considerato che detta domanda era evidentemente preordinata ad evitare l’esame del ricorso per l’accertamento dello stato di insolvenza presentato da un creditore.

Avverso tale pronuncia A. proponeva ricorso per cassazione, lamentando, in particolare, che il rifiuto dei giudici di merito non poteva fondarsi su un preteso abuso del diritto, non invocabile in materia e non rilevabile d’ufficio, e che il Tribunale, nonostante la contemporanea pendenza dei procedimenti di istruttoria prefallimentare e di concordato preventivo, aveva omesso di verificare, prima di decidere sull’istanza di fallimento, l’attitudine della proposta e del piano al superamento della crisi.

La decisione della Corte di Cassazione

Respingendo i motivi di ricorso, la Suprema Corte ha innanzitutto affermato la natura perentoria e decadenziale del termine di cui all’art. 161 co. 6 L.F., precisando che tale termine, soggetto alla disciplina di cui all’art. 153 c.p.c., è prorogabile solo in presenza di giustificati motivi, che devono essere allegati dal richiedente e verificati dal giudice, che, sul punto, esprime un apprezzamento in fatto non sindacabile in sede di legittimità.

In presenza di una domanda di concordato preventivo con riserva, il provvedimento di rigetto dell’istanza di proroga del termine per il deposito della proposta, del piano e della documentazione è pertanto insindacabile in sede di legittimità (se adeguatamente motivato).

Ribadito che, rispetto al medesimo imprenditore e alla medesima insolvenza, il concordato non può che essere unico, la Corte ha poi affermato che, respinta l’istanza di proroga e scaduto il termine concesso ex art. 161, co. 6 L.F., la domanda di concordato deve essere dichiarata inammissibile, fatta salva la facoltà per il proponente, in pendenza dell’udienza fissata per la dichiarazione di inammissibilità o per l’esame di eventuali istanze di fallimento, di depositare una nuova domanda di concordato ai sensi dell’art. 161 co. 1 L.F., da cui si desuma la rinuncia alla domanda di concordato con riserva, sempre che la nuova domanda non si traduca in un abuso dello strumento concordatario.

A questo proposito, la Corte ha infine richiamato il principio già enunciato nelle Pronunce nn. 9935 e 9936/15 delle Sezioni Unite, secondo cui integra gli estremi dell’abuso del processo la domanda di concordato preventivo presentata dal debitore non per regolare la crisi dell’impresa ma al fine di procrastinare la dichiarazione di fallimento.