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Il risarcimento del danno antitrust alla luce dell’attuazione della direttiva 2014/104/UE

Il 19 gennaio scorso è stato finalmente pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il decreto legislativo di attuazione della direttiva europea 2014/104/UE in materia di risarcimento del danno per violazione del diritto della concorrenza degli Stati membri e dell’Unione Europea (1).
La direttiva, entrata in vigore il 25 dicembre 2014, si è posta l’obiettivo di garantire in modo uniforme in tutti gli Stati membri la piena risarcibilità del danno antitrust potenziando l’azione privatistica.
Il private enforcement, infatti, è comunemente ritenuto uno strumento dotato di forte efficacia deterrente dell’illecito anticoncorrenziale e in grado di impedire distorsioni del mercato interno. Del resto, per assicurare un corretto funzionamento del mercato, gli illeciti devono essere perseguiti e sanzionati in modo effettivo e le autorità pubbliche, che pure dispongono di strumenti più efficaci rispetto ai privati, possono concentrarsi solamente sugli illeciti di maggior rilievo e non sono preposte a garantire il ristoro dei danni che gli stessi abbiano causato ai singoli. Di qui l’importanza dell’azione privatistica, da raccordare al public enforcement, promossa dal legislatore europeo (2).
Prima dell’entrata in vigore della direttiva, il diritto al risarcimento del danno antitrust era già riconosciuto dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia (3), ma, in assenza di una disciplina uniforme in materia sia a livello nazionale che a livello europeo, non ha avuto adeguata tutela (4).
Ciò è dovuto innanzitutto alla difficoltà per la vittima del danno antitrust di fornire la prova rigorosa del danno subito. Spesso, gli elementi e i documenti necessari alla dimostrazione del danno sono infatti nella sola disponibilità di coloro che hanno commesso l’illecito e delle autorità garanti che detto illecito hanno scoperto.
Dopo aver ribadito che la legittamazione attiva spetta a tutti i danneggiati, siano essi acquirenti diretti o indiretti dell’impresa autore dell’illecito antitrust, la direttiva ha quindi previsto significative facilitazioni probatorie tese a superare l’asimmetria informativa che caratterizza la posizione degli attori.
In particolare, il legislatore comunitario ha introdotto la presunzione ex lege della generica dannosità dei cartelli, ponendo in capo al giudice l’obbligo di determinare il danno in via equitativa, tutte le volte in cui la puntuale quantificazione dello stesso risultasse troppo gravosa. Il danneggiato, quindi, non deve più dimostrare che il cartello ha prodotto un danno (provato per la sola esistenza del cartello), ma solo che ha prodotto un danno nella propria sfera economica e che tale danno è di una certa entità.
Per assistere il danneggiato nel reperimento delle prove sul punto, la direttiva ha poi introdotto la nozione di “categoria di prove” (5), prevedendo che il giudice, su istanza di parte (proporzionata e adeguatamente motivata), possa ordinare al convenuto o a tezi l’esibizione degli “elementi di prova o le rilevanti categorie di prove” in loro possesso, e agevolando altresì l’accesso al fascicolo di indagine delle autorità che accertano l’illecito (Commissione compresa).
Quanto all’accesso ai fascicoli dei procedimenti delle autorità garanti della concorrenza, è bene però chiarire che alcune informazioni (come quelle rese dalla parte nell’ambito del procedimento, quelle redatte e comunicate alle parti dall’autorità garante nel corso del procedimento e le proposte transattive revocate) possono essere disponibili solo dopo la definizione del procedimento, e altre (tra cui le dichiarazioni auto-indizianti rese dalla parte nell’ambito di un programma di clemenza) continuano ad essere insuscettibili di comunicazione. Ciò per non scoraggiare l’adesione ai leniency programmes, che costituiscono indubbiamente uno strumento efficace nella lotta ai cartelli (6).
Per rendere effettiva la facilitazione probatoria in discorso, la direttiva ha introdotto un sistema di sanzioni a carico della parte o del terzo che non adempia all’ordine di esibizione, distrugga prove rilevanti, violi gli obblighi imposti dal giudice a tutela di informazioni riservate o i limiti all’uso delle prove, prevedendo altresì la possibilità per il giudice di trarre dal comportamento tenuto dalle parti nel processo conseguenze negative.
Inoltre, per quanto riguarda in particolare le azioni di risarcimento del danno per trasferimento del sovrapprezzo, la direttiva ha previsto un’ulteriore facilitazione probatoria a favore dell’acquirente indiretto (7).
Introducendo una nuova presunzione (questa volta iuris tantum), il legislatore europeo ha infatti stabilito che, se il trasferimento del prezzo è introdotto dal convenuto a fini difensivi, l’onere di provare la traslazione è in capo al convenuto/danneggiante, ma, se a lamentare il sovrapprezzo subito è l’acquirente indiretto, il trasferimento del prezzo è allora presunto (e il convenuto può dimistrare che il trasferimento non si è realizzato in tutto o in parte) (8).
In questi casi, l’ammontare del danno emergente cagionato dall’autore della violazione ad un certo livello della catena di approvigionamento non può superare il danno da sovrapprezzo subito a tale livello, mentre non è fissato alcun limite per la quantificazione del lucro cessante che può essere riconosciuto al danneggiato (9).
Quanto all’efficacia probatoria delle decisioni definitive rese dalle autorità garanti nazionali, la direttiva ha poi stabilito che le stesse siano vincolanti per il giudice ordinario chiamato a decidere sulla domanda di risarcimento, attribuendo loro valore di piena prova (se emesse dall’autorità dello stesso stato) o di evidenza comunque rilevante (se pronunciate invece da un’autorità di altro stato membro).
In ogni caso, per incentivare definizioni bonarie delle controversie, la direttiva ha infine previsto che l’autore dell’illecito anticoncorrenziale che abbia abbia trovato una soluzione transattiva con il danneggiato non possa essere citato in giudizio dai concorrenti (rimasti estranei alla transazione e che vedranno comunque diminuire la propria quota di responsabilità), pur essendo solidalmente responsabile (10).
Ciò detto, il Decreto legislativo recentemente pubblicato ripropone fedelmente il contenuto della direttiva (di cui riproduce la struttura) (11), ampliandone l’ambito applicativo.
Dando una definizione ampia di diritto della concorrenza (12), il Decreto estende infatti l’applicazione delle disposizioni della direttiva anche alle violazioni della legge antitrust italiana e delle disposizioni degli altri stati membri che perseguono gli stessi obiettivi.
Inoltre, il Decreto disciplina il diritto al risarcimento del danno antitrust anche con riferimento alle class actions (escluse invece dalla direttiva).
La portata della direttiva viene invece limitata quanto all’efficacia probatoria delle decisioni delle autorità garanti nazionali che accertano in via definitiva la violazione al diritto della concorrenza. Quelle italiane fanno piena prova in relazione alla natura della violazione, alla sua portata materiale, personale, temporale e territoriale, ma non anche -viene esplicitato- quanto al nesso di causalità e all’esistenza del danno; quelle degli altri Stati membri costituiscono una mera prova prima facie, da valutare insieme ad altre prove. Il giudice del risarcimento non è poi vincolato dalle decisioni dell’AGCM che, pur divenute definitive perchè non ritualmente impugnate, siano però irrimediabilmente viziate (13).
Il termine di prescrizione, che la direttiva ha fissato in almeno a cinque anni, è individuato in cinque anni.
Il decreto concentra infine la competenza per materia delle azioni di risarcimento presso le tre sezioni del Tribunale per le imprese di Milano, Roma e Napoli.
Le nuove disposizioni processuali, ad eccezione di quelle relative alla competenza (14), si applicheranno retroattivamente anche ai giudizi promossi dopo il 26 dicmbre 2014 e dunque prima dell’entrata in vigore delle disposizioni di recepimento.
Anche per quanto aspetto il legislatore italiano ha dunque compiuto una scelta che amplia il dettato della direttiva (che a riguardo non ha previsto alcun obbligo di retroattività), di cui sembra aver compiutamente recepito il contenuto, nel rispetto dei principi di efficacia ed equivalenza di all’art. 4.

(1) Si tratta del d.lgs n. 3/2017 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 15 del 19 gennaio 2017.

(2) Il considerando 6 della direttiva evidenzia come i due canali (quello pubblicistico, di spettanza delle autorità garanti, e quello privatistico, legato al diritto civile) debbano interagire per assicurare il massimo impulso alle regole di concorrenza.

(3) V., ad es., le Sentenze Courage e Manfredi.

(4) Si pensi che in Italia tra il 2014 e il primo semestre del 2016 le azioni private di danno sono state solo 59. Sul punto, v. Analisi di impatto della regolamentazione (a.i.r.) allegata allo schema di decreto legislativo di attuazione della Direttiva 2014/104/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 novembre 2014 relativa a determinate norme che regolano le azioni per il risarcimento del danno ai sensi del diritto nazionale per violazioni delle disposizioni del diritto della concorrenza degli stati membri e dell’Unione Europea, p. 2.

(5) Si tratta di elementi informativi omogenei con riferimento alla “natura, il periodo durante il quale sono stati formati, l’oggetto o il contenuto degli elementi di prova di cui è richiesta l’esibizione e che rientrano nella stessa categoria”. Come si legge nella relazione illustrativa allo schema di decreto, tale espressione, estranea alla terminologia del nostro codice di procedura civile, mira a contemperare l’interesse a tutelare il diritto alla prova dell’attore con l’esigenza di evitare un uso eccessivamente disinvolto della disclosure.

(6) V., da ultimo, il procedimento avviato dall’AGCM nei confronti delle principali agenzie di modelle e della loro associazione di categoria Assem, originato dall’adesione al programma di clemenza da parte di Img Italy Srl.

(7) Quando l’illecito anticoncorrenziale si colloca ad un certo livello della catena produttiva/distributiva è infatti difficile allocare il danno, dal momento che chi subisce a monte il sovrapprezzo tende a trasferirlo a valle.

(8) La presunzione opera però solo se l’attore ha provato: 1) che il convenuto ha violato il diritto di concorrenza, 2) che la violazione ha determinato un sovrapprezzo, 3) che l’attore/acquirente indiretto ha acquistato il bene o servizio oggetto della violazione o beni o servizi che derivano dagli stessi o li incorporano.

(9) Il danno risarcibile comprende infatti il lucro cessante, il danno emergente e gli interessi senza che siano ammessi danni punitivi, contemplati invece nell’ordinamento statunitense.

(10) La direttiva ha infatti introdotto il regime della responsabilità solidale tra condebitori, riprendono un’elaborazione giurisprudenziale nel nostro ordinamento ormai consolidata. v. Cass. Sez. Un., Sent. n. 30174/11.

(11) La struttura del decreto è pressoché identica a quella della direttiva quanto alla ripartizione in capi, con l’inserimento dell’ulteriore capo VII relativo alle modificazioni alla legge 10 ottobre 1990, n. 287/1990 e alla competenza dei tribunali delle imprese.

(12) A mente dell’art. 2 del Decreto, per “diritto della concorrenza” si intendono infatti “le disposizioni di cui agli articoli 101 o 102 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, le disposizioni di cui agli articoli 2, 3 e 4 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, applicate autonomamente, nonché le disposizioni di altro Stato membro che perseguono principalmente lo stesso obiettivo degli articoli 101 e 102 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea e le predette disposizioni di cui agli articoli 2, 3 e 4 della legge 10 ottobre 1190, n. 287 (…).”

(13) Tale soluzione è imposta da una lettura delle disposizioni europee conforme all’art. 101, 2 co. Cost., secondo cui il giudice è soggetto soltanto alla legge. In ogni caso, anche l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea sancisce il diritto dell’individuo ad un giudice indipendente.

(14) L’applicazione retroattiva violerebbe infatti l’art. 5 cpc secondo cui la giurisdizione e la competenza si determinano avendo riguardo alla legge vigente al momento della proposizione della domanda.