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E’ responsabile il datore di lavoro che consapevolmente non elimina la causa del mobbing provocato dal proprio dirigente

Con la pronuncia del 15 maggio 2015 n. 10037 la Corte di Cassazione Civile, sezione lavoro, è intervenuta nuovamente in materia di mobbing. La Suprema Corte ha ritenuto di dover rigettare i ricorsi presentati dal Comune di Colonnella e da un dirigente dello stesso a seguito della pronuncia della Corte d’Appello dell’Aquila che li vedeva soccombere nel secondo grado di giudizio promosso nei loro confronti da un loro subordinato.

La Corte, uniformandosi a quanto sentenziato dalla Corte di merito, afferma la responsabilità del datore di lavoro, gravato dagli obblighi ex art. 2049 c.c., che sia rimasto “colpevolmente inerte alla rimozione del fatto lesivo” argomentando che “il Comune non poteva essere scriminato dal danno arrecato alla lavoratrice”, anche qualora la condotta di mobbing non provenga direttamente dall’ente, ma da altro dipendente gerarchicamente superiore alla vittima.

Nel caso di specie, la Corte, dopo aver rilevato la correttezza e coerenza della motivazione della Corte di merito, ha ribadito che “la durata e le modalità con cui è stata posta in essere la condotta mobbizzante, quale risulta anche dalle prove testimoniali, sono tali da far ritenere che la sua conoscenza anche da parte del datore di lavoro, nonché organo politico, che l’ha comunque tollerata”, così da tacitare ogni motivo sollevato dal Comune di Colonnella.