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La libertà di espressione, pietra angolare di ogni società democratica, si giova sia di idee “inoffensive” che di quelle che “offendono, scioccano o disturbano“. Ma fino a dove può arrivare? La CEDU ha stabilito, con sentenza emessa il 9 febbraio 2023 (ricorsi n. 58951/18 e 1308/19, caso C8 contro Francia), che l’omofobia e il sessismo – seppure in un programma di puro divertimento – superano i limiti della libertà di espressione.

Le sequenze controverse sono descritte come segue:

  1. La prima mostrava il conduttore del programma che faceva mettere le mani di un’opinionista sul proprio sesso, ad occhi chiusi e senza il consenso esplicito dell’interessata.
  2. Nella seconda, il conduttore telefonava a persone che avevano risposto ad annunci da lui pubblicati su un sito web di incontri, fingendo di essere una persona bisessuale. Come parte dello scherzo telefonico, il conduttore adottava una voce ed un’atteggiamento effeminati per prendere in giro le persone omosessuali. Inoltre, le voci delle persone intervistate non sono state alterate, rendendo più facile la loro identificazione.

Queste sequenze sono state oggetto di sanzione da parte del Consiglio Superiore audiovisivo francese (Conseil supérieur de l’audiovisuel, noto come “CSA”), confermate dal Consiglio di Stato francese.  La CEDU ha confermato la non contrarietà di tali decisioni alla Convenzione.

  • La libertà di espressione non consente di trasmettere un’immagine stereotipata negativa delle donne e delle persone omosessuali

In via preliminare, la CEDU rammenta che la libertà di espressione sancita dall’articolo 10 della CEDU non è assoluta. Essa viene inquadrata dal comma 2 del suddetto articolo, che permette di giustificare l’ingerenza dello Stato su tale libertà purché la stessa (a) sia “prevista dalla legge“, (b) sia “necessaria“, e (c) abbia con uno scopo legittimo . I primi due criteri non pongono problemi nel caso in esame, tanto più che non sono contestati dalla società ricorrente: da un lato, l’articolo 42-1 della legge francese sulla libertà di comunicazione del 30 settembre 1986 prevede espressamente la possibilità per il CSA di imporre sanzioni al titolare di un’autorizzazione per l’esercizio di un servizio di comunicazione audiovisiva; dall’altro, non vi è alcun dubbio sul carattere legittimo della tutela dei diritti altrui (in particolare il diritto all’immagine, all’onore e alla reputazione), ma anche dell’immagine delle donne e degli omosessuali.

La Corte valuta in maggiore dettaglio la necessità di tale ingerenza, avvalendosi di principi generali già in altre occasioni riaffermati. La limitazione della libertà di espressione implica innanzitutto un “bisogno sociale imperioso“, la cui sussistenza viene stabilita dagli Stati membri, che godono a tal fine di un certo margine di apprezzamento. Spetta alla CEDU pronunciarsi (1) sul carattere “proporzionale allo scopo legittimo perseguito” dell’ingerenza alla luce del caso nel suo complesso, nonché (2) sul carattere “pertinente e sufficiente” delle motivazioni fornite dalle autorità nazionali (NIT c. Repubblica di Moldova, 5 aprile 2022).

In primo luogo, per valutare la proporzionalità dell’ingerenza nell’esercizio della libertà di espressione, la Corte prende in considerazione diversi fattori, tra cui il rispetto delle garanzie procedurali, il contributo ad un dibattito di interesse generale e la natura e severità delle sanzioni inflitte. Nella fattispecie, la Corte ha ritenuto che la società ricorrente abbia effettivamente beneficiato di garanzie procedurali interne quali la messa in mora, la possibilità di impugnare la decisione e un pieno contraddittorio. Inoltre, essa ha sottolineato che le sequenze controverse – essendo parte di un programma di puro divertimento – non forniscono alcun contributo al dibattito di interesse generale. Tale mancanza di interesse pubblico produce l’effetto di aumentare il margine di apprezzamento nazionale relativo alla necessità o meno di  sanzionare la società interessata (Hachette Filipacchi Associés c. Francia, 23 luglio 2009). Nonostante il carattere umoristico sollevato dalla società ricorrente, la CEDU ricorda che anche le forme di espressione umoristiche non sfuggono ai limiti dell’articolo 10 comma 2 della Convenzione (“il diritto all’umorismo non consente tutto”, §85 della sentenza in esame). Ricordiamo che la Corte in linea generale esamina la satira con particolare attenzione, garantendone un’elevata protezione, in quanto esagerazione e deformazione della realtà naturalmente destinata a provocare. Tale funzione è stata bene riassunta dalla Corte di cassazione italiana con l’uso dell’espressione castigat ridendo mores (“coreggere i costumi col ridere”, cf. Cass. Pen. Sezione I, 16 marzo 2006).

Nel caso di specie, secondo la Corte EDU, le sequenze in esame non sembrano dotate di siffatta funzione sociale. Infine, il CSA ha inflitto alla società una sanzione pecuniaria di 3.000.000 di euro, nonché la sospensione per due settimane della facoltà di trasmettere annunci pubblicitari sul programma in questione, che, secondo la ricorrente, ha rappresentato una perdita di 13.000.000 di euro. La natura pecuniaria della sanzione è ritenuta adeguata dalla CEDU, così come l’importo, che rappresenta rispettivamente solo il 2 e l’8,7% del fatturato della società. L’ingerenza della CSA è pertanto proporzionato. Va notato al riguardo che la CEDU attribuisce spesso importanza, nella sua analisi della proporzionalità, al fatto che l’autorità nazionale abbia optato per la misura meno restrittiva della libertà di espressione (giurisprudenza frutto di una serie di sentenze come per esempio Axel Springer c. Germania e Perinçek v. Svizzera). I giudici europei hanno quindi ripetutamente invitato alla “moderazione nell’uso del diritto penale” in quest’ambito (Reichman c. Francia, 12 luglio 2016), spingendo così diversi Stati, tra cui la Francia e l’Italia, ad avviare un percorso verso la depenalizzazione dei reati d’opinione. Ad esempio, dopo aver trasformato l’ingiuria in un mero illecito civile, il legislatore italiano aveva anche preso in considerazione la possibilità di abolire le pene detentive per la diffamazione (in particolare col disegno di legge Caliendo del 20 settembre 2018). Anche in Francia si è avuta una eliminazione progressiva di vari reati di opinione dal quadro penale (ad esempio il reato di offesa al Presidente della Repubblica).

In secondo luogo, il CSA, sostenuto dal Consiglio di Stato, ha ritenuto che entrambe le sequenze trasmettessero un’immagine degradante delle donne e delle persone omosessuali. A giudizio della CEDU, questa valutazione era da considerarsi fondata su motivazioni pertinenti e sufficienti. La prima sequenza banalizza “comportamenti inaccettabili“, cioè gesti con connotazione sessuale svolti da un’uomo nel contesto del suo rapporto di lavoro gerarchico con un’opinionista, senza previo consenso. Tende di conseguenza a “dare un’immagine stereotipata delle donne, riducendole alla condizione di oggetto sessuale”. La CEDU coglie l’occasione per affermare che “il progresso verso la parità di genere è oggi un’ obiettivo importante degli Stati membri del Consiglio d’Europa“. Per quanto riguarda la seconda sequenza, la caricatura degli omosessuali è tale da “stigmatizzare un gruppo di persone in base a loro orientamento sessuale“. Anche qui, la CEDU sottolinea l’importanza per la coesione sociale del rispetto della diversità e “dell’interazione armoniosa tra persone e gruppi con identità diverse“.

Questa preoccupazione della CEDU per le discriminazioni basate sul genere o sull’orientamento sessuale nel contesto della libertà di espressione si è anche fatto sentire a livello nazionale negli ultimi anni, sia in diritto francese che italiano. Per esempio, in Francia, l’ingiuria o la diffamazione basata sul sesso, orientamento sessuale, identità di genere o disabilità costituisce un reato aggravato. Anche in Italia, si è avuto un acceso dibattito sul disegno di legge Zan che mirava ad includere la discriminazione basata sul sesso, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità nelle circostanze aggravanti generiche. Approvato nel 2020 dalla Camera dei Deputati e respinto un’anno dopo dal Senato, il suddetto disegno di legge rimane tuttavia per il momento lettera morta.

  • La prevalenza del diritto al rispetto della vita privata sulla libertà di espressione

Quando due diritti di pari valore tutelati dalla CEDU entrano in conflitto, la Corte raccomanda di regolarne i rapporti attraverso un “bilanciamento”. Nella sequenza dello scherzo telefonico è in gioco il diritto al rispetto della vita privata delle persone intervistate, le cui informazioni personali vengono rivelate in diretta televisiva, senza il loro consenso e senza alcuna modifica della loro voce. Occorre pertanto garantire un giusto equilibrio tra il diritto della società ricorrente alla libertà di espressione (ai sensi dell’articolo 10 della Convenzione) e il diritto delle vittime alla protezione della loro vita privata (sancito dall’articolo 8). Una volta applicato il bilanciamento, sia il CSA che il Consiglio di Stato hanno ritenuto prevalenti il rispetto della vita privata. La CEDU approva la soluzione adottata dalla corte francese, alla luce dell’ampio margine di apprezzamento di cui gode lo Stato per valutare l’ingerenza nel diritto alla libertà di espressione, nonché del carattere estremamente intimo degli elementi esposti al pubblico (relativi alle pratiche e preferenze sessuali ed all’anatomia intima) e della mancanza di notorietà delle persone interessate. La CEDU respinge quindi l’argomentazione della società ricorrente in riferimento alla sentenza Sousa Goucha c. Portogallo (del 22 marzo 2016), in cui le battute su un famoso omosessuale nel corso di un programma televisivo umoristico non sono state sanzionate, in nome della libertà di espressione. Nonostante la somiglianza dei fatti, il grado d’intrusione nella vita privata nel caso C8 è significativamente più alto, in quanto le vittime erano sconosciute al grande pubblico, e non intendevano rivelare alcuna informazione sulla loro vita privata ai telespettatori. Al contrario, l’ “omosessuale famoso” del caso Sousa Goucha era già considerato come personaggio pubblico, cioè come una persona che, “con i suoi atti o la sua posizione, rientra nella sfera pubblica” (Kapsis e Danikas c. Grecia). La notorietà della vittima di una violazione della propria vita privata appare quindi come un criterio di primaria importanza e consente una maggiore libertà di espressione.

Tuttavia, va notato che il governo francese non ha tenuto conto del criterio di notorietà nell’analisi della prima sequenza, in cui la vittima diretta era un’opinionista professionista. Questo ragionamento, che non è stato respinto dalla CEDU, è stato ritenuto legittimo nella misura in cui la sanzione interna non mirava a tutelare i diritti individuali (in particolare la reputazione) della suddetta opinionista, ma, più ampiamente, il rispetto dei diritti delle donne. La CEDU ha inoltre lamentato l’influenza del programma sul pubblico giovane,  esposto a sequenze che perpetuano pregiudizi sessisti.

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Marco Amorese

Jeanne Deniau