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Il 23 febbraio il Comitato economico e sociale europeo (di seguito “CESE”) ha espresso il proprio parere (2023/C 75/20) sulla proposta di direttiva europea relativa alle “azioni legali strategiche tese a bloccare la partecipazione pubblica”, più comunemente note come “SLAPP”. Il fenomeno di “Stategic Lawsuit Against Public Participation” consiste nel l’abuso dei procedimenti legali mirati a soffocare il dibattito pubblico. L’attore, che è spesso un individuo, istituzione o azienda dotato di ingenti risorse finanziarie, si serve del suo potere per avviare azioni per diffamazione, al fine di fare tacere le voci critiche nei suoi confronti. L’obiettivo non è necessariamente vincere la causa nel merito, bensì esaurire le risorse economiche, di tempo e di energia della controparte (spesso giornalisti indipendenti, attivisti sociali e ambientali, ONG oppure whistleblower), sottoponendoli a lunghi e costosi processi. Di fronte a questa crescente minaccia alla libertà di espressione, la suddetta proposta di direttiva intende creare un’arsenale giuridico europeo anti-SLAPP.

Il CESE accoglie con favore i meccanismi proposti dalla Commissione, ritenuto un “passo avanti decisivo per porre fine a tali pratiche”, ma prende in considerazione una serie di ulteriori soluzioni. Tra queste figurano il divieto per le persone diverse dall’attore di sostenere le spese dell’azione legale intentata, la fissazione di un termine massimo per la procedura, e infine, la possibilità per il convenuto di riunire i diversi procedimenti presso lo stesso tribunale. In effetti, allo stato attuale della giurisprudenza europea, la vittima di diffamazione online è in grado di avviare più azioni in diversi Stati membri, il che lascia la porta aperta al cosidetto “forum shopping”.

Questa possibilità di frazionare il contenzioso è stata affermata dalla CGUE nella sentenza Shevill (causa C-68/93, 7 marzo 1995), e poi applicata alla diffamazione mediante Internet nella sentenza eDate (causa C-509/09, 25 ottobre 2011). In concreto, dalla lettura combinata del Regolamento Bruxelles I bis (Regolamento (UE) n. 1215/202) e della giurisprudenza della Corte, è possibile individuare 4 fori competenti in tema di diffamazione online, di cui 3 “completi” e uno “residuale”. In primo luogo, i “fori completi” sono i seguenti: (a) i giudici del domicilio del convenuto (articolo 4 paragrafo 1, del Regolamento), (b) quelli del luogo di stabilimento che ha emesso i contenuti (sentenza Shevill, ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento) e (c) quelli dello Stato membro in cui la presunta vittima ha il proprio centro d’interessi (sentenza eDate) sono competenti a risarcire l’integrità del danno. In quanto “fori completi”, sono inoltre competenti a pronunciarsi sulla rettifica e la rimozione della pubblicazione controversa, alla luce della sentenza Bolagsupplysningen (causa C-194/16, 17 ottobre 2017). Invece, i giudici di ogni Stato membro sul cui territorio la pubblicazione sia stata accessibile dispongono di una compentenza parziale, per il risarcimento dei danni cagionati sul loro territorio. Quest’ipotesi era inizialmente limitata alla diffamazione mediante un articolo di stampa (come nel caso Shevill), il che non presentava particoli problemi nella misura in cui il supporto cartaceo limita il numero di esemplari stampati e distribuiti. Ma nel 2011, con la sentenza eDate, quest’approccio “a mosaico” è stato anche applicato alla diffamazione su Internet, a scapito delle vittime di SLAPP.

Visto il carattere universale e immediato di Internet, le informazioni pubblicate con questo mezzo sono accessibili istantaneamente ed ovunque, senza nemmeno barriera linguistica grazie alla traduzione automatica. Applicare quest’approccio “a mosaico” alla diffamazione commessa su Internet equivale pertanto a conferire competenza ad ogni Stato membro, cioè a 26 fori, ognuno dei quali può pronunciarsi sul danno cagionato sul proprio territorio. In pratica, gli attori di un dibattito pubblico (giornalisti ed altri) che denunciano su Internet attività che a loro parere sono discutibili sul piano ambientale o dei diritti umani, potrebbero pertanto essere convenuti in diversi paesi europei. Nonostante queste preoccupazioni, la CGUE ha ribadito la sua posizione in varie occasioni, tra cui nel 2021 con la sentenza Gtflix Tv (causa C-251/20).

Al fine di tutelare le vittime delle SLAPP e rispettare gli obiettivi dell’UE, in particolare i principi di prevedibilità e di certezza del diritto, sembrerebbe opportuno tornare ad un criterio di collegamento più rigoroso, basato sull’ “collegamento più stretto tra l’autorità giurisdizionale e la controversia” (considerando 16 del Regolamento Bruxelles I bis). In caso contrario, come auspicato nel parere del CESE, il convenuto dovrebbe essere in grado di riunire i procedimenti provenienti dallo stesso attore o di un’attore associato nella stessa giurisdizione.

Per maggiori informazioni sui rimedi in caso di diffamazione online, o per lasciare un commento o un suggerimento scrivi a: [email protected]

Marco Amorese

Jeanne Deniau