Seleziona una pagina

La Cassazione afferma l’estendibilità del fallimento ad una S.r.l. socia di fatto.

Cass. Civ. 21 gennai0 2016, n. 1095

IL CASO – Il Tribunale di Foggia afferma l’estensione del fallimento ad alcune società a responsabilità limitata che, per le modalità di gestione, si possono ritenere in fatto una sola società. La Corte di appello di Bari conferma la decisione sottolineando che, sebbene l’art. 2361 cod.civ. previsto per le società per azioni disponga la necessità di una delibera assembleare al fine di potere acquisire una partecipazione in una società di persone, tale requisito costituisce unicamente la rimozione di un limite al potere gestorio degli amministratori rilevante ai fini della loro responsabilità ma che non incide sull’efficacia dell’atto. La decisione della Corte d’appello viene impugnata con un ricorso in cassazione fondato su un’unica censura: la società di capitali non potrebbe partecipare ad una società irregolare di fatto in virtù della necessità di una regolare delibera assembleare ai sensi dell’art. 2361 c.c..

La decisione della Corte di legittimità affronta un tema che è stato oggetto di approcci altalenanti da parte della giurisprudenza di merito e che pare, con la sentenza in oggetto, consolidarsi nel senso della applicabilità della teoria della società di fatto anche alle società di capitali che in concreto vengono gestite come un unico ente.

Come noto, la legge fallimentare prevede, all’art. 147 co. 5, che ove emerga, successivamente al fallimento, l’esistenza di altri soci illimitatamente responsabili, su istanza del curatore, di un creditore o di un socio fallito può essere chiesto il fallimento in estensione del socio occulto. In modo analogo si procede nel caso in cui, dopo il fallimento di un imprenditore apparentemente individuale, risulti l’esistenza di una società di fatto.

Una giurisprudenza restrittiva ha inteso valorizzare la tutela dell’autonomia patrimoniale della società di capitali ritenendo che alla stessa non sia applicabile la disciplina di cui all’art. 147 l.f.. (v. tra le altre, Trib. Bergamo 15 giugno 2015, Trib. Bergamo 11 giugno 2015 su www.ilcaso.it, Trib. Foggia 3 marzo 2015 in Ilfallimentarista.it). Tale opzione ermeneutica vuole valorizzare la funzione di tutela dei soci e dei creditori dell’art. 2361 c.c. che prevede la necessità di una delibera assembleare per l’assunzione di una partecipazione in una società di persone. D’altra parte essa costituisce un approccio risalente, dal momento che argomentazioni di natura simile avevano fondato la motivazione di Cass. 5636/88 che aveva definitivamente escluso, nel sistema previgente alla riforma societaria, la possibilità per una società di capitali di assumere una partecipazione in società di persone.

La sentenza di legittimità che qui si commenta e un corpus significativo di decisioni di merito si collocano in netto contrasto con tale orientamento (Tribunale di Forlì, Sez. Fall., 9 febbraio 2008, n. 6, Tribunale di Prato, 15 ottobre 2010, Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, 8 luglio 2008, Tribunale di Firenze, 12 agosto 2009, Cass. n. 23344/2010 e Tribunale Vibo Valentia, Sez. Fall., 10 giugno 2011). Nella sentenza in commento, la Cassazione, dopo un attento excursus sulle conseguenze giuridiche che discendono dalle norme che, in modo analogo all’art. 2361 cod.civ., prevedono la necessità di una previa delibera assembleare, ha ritenuto prevalente la tutela della stabilità dell’agire societario e del mercato. Sottolinea, infatti, la corte che l’assenza di delibera assembleare non pone nel nulla il comportamento gestorio degli amministratori, ma rileva piuttosto sul piano delle responsabilità di questi ultimi. Infatti, la necessità di autorizzazione non determina uno spostamento del potere gestorio in capo all’assemblea, poichè “il sistema ordinamentale della società azionaria esclude, in via di principio, la nullità o l’inefficacia dell’atto negoziale compiuto dagli amministratori in violazione delle disposizioni sull’autorizzazione assembleare”.

Pertanto, la Corte conclude che, nel bilanciamento fra gli interessi dei creditori e dei soci partecipanti alla società azionaria e quelli esistenti in capo ai creditori della società di fatto, devono prevalere questi ultimi. D’altra parte, sottolinea la corte, il soggetto che entra in contatto con la società personale non ha modo di verificare da pubblici registri la previa deliberazione assembleare, posto che di essa non è prevista l’iscrizione ex art. 2193 e 2436 c.c.

Tali principi vanno applicati anche alla società irregolare, salva la necessità di indagare con rigore la sussistenza degli elementi che danno vita ad una società di fatto che, come noto, si caratterizza per un patrimonio ed un’attività comune, una effettiva partecipazione ai profitti ed alle perdite, la sussistenza di un vincolo di collaborazione tra i soci.

La Corte inoltre afferma che l’interpretazione letterale dell’art. 111-duodecies cod. civ. non porta a ritenere che, anche con riferimento alle società a responsabilità limitata, sussista un obbligo di previa deliberazione assembleare al fine di assumere partecipazioni in società personali. I giudici di piazza Cavour affermano che l’art. 111-duodecies sia rilevante ai fini della disciplina di bilancio applicabile per cui la società personale interamente partecipata da società di capitali sarà soggetta alle medesime prescrizioni di bilancio previste per queste ultime, mentre le partecipanti avranno l’obbligo del consolidamento.

Pure avendo emesso un articolato arresto, la Cassazione non risolve la questione relativa a quale sia il termine entro il quale fare valere la fallibilità in estensione della società di fatto. Alcuni precedenti di merito, hanno ritenuto che, ai sensi dell’art. 10 l.f., soglia invalicabile per la dichiarazione di fallimento in estensione fosse comunque l’anno dalla sentenza che ha dichiarato il fallimento del socio di fatto, sul presupposto che, con il fallimento di uno dei soci di fatto, venga meno il vincolo sociale (Tribunale Modena 10 giugno 2011 – Pres. Eleonora De Marco – Rel. Adriana Gherardi). Altre pronunce di legittimità hanno ritenuto privo di pregio tale orientamento dal momento che esso dà rilievo ad una circostanza non conoscibile nè conosciuta al momento della dichiarazione del fallimento, lo scioglimento del vincolo sociale (Cassazione civile, sez. VI 25 novembre 2015, n. 24112 – Pres. Dogliotti – Est. Ragonesi – Cassazione civile, sez. I 12 dicembre 2014, n. 26209 – Pres. Rordorf – Est. Di Amato).

 (Per ulteriori informazioni o per un gradito feedback restiamo a Vostra disposizione)