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Partendo dal presupposto che il danno prodotto da un fatto può valere sia come illecito civile che penale, la Cassazione è stata recentemente chiamata ad affrontare il delicato tema del rapporto tra giudizio civile risarcitorio e giudizio penale nel caso in cui dopo la conclusione di un procedimento penale sia proposta azione civile volta al risarcimento dei danni. Prima di entrare nel merito della decisione della Corte, è bene fare chiarezza riguardo il quadro normativo sotteso alla questione. L’azione civile non può essere proposta in entrambe le sedi (civile e penale) contemporaneamente e, infatti, la proposizione dell’una esclude la procedibilità dell’altra. In particolare, l’azione civile è vincolata al momento in cui si decide di esercitarla. Essa può essere esercitata dalla parte lesa direttamente nel processo penale, mediante la costituzione di parte civile, ovvero in sede civile e poi trasferita nel processo penale. In tale ultimo caso, il processo civile non verrà estinto, bensì sospeso ex art. 75, comma 3, c.p.p. fino alla sentenza penale.

IL CASO

Il caso che ha investito le  Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, sentenza n. 13661 del 21 maggio 2019, trova la propria origine dalla morte di un uomo a causa di un incidente stradale. In particolare, nel processo penale, instaurato avanti il tribunale di Bergamo, e promosso nei confronti del conducente dell’auto che aveva causato la morte del soggetto, si erano costituiti parte civile unicamente i fratelli del defunto. Dopo la condanna in primo grado del
conducente superstite, la moglie e i figli della vittima decidevano di promuovere azione civile avanti il Tribunale di Milano nei confronti del conducente danneggiante e della compagnia assicurativa di quest’ultimo. Il Tribunale di Milano disponeva la sospensione del procedimento civile ai sensi dell’art. 295 c.p.c. e 75, comma 3, c.p.p. Avverso l’ordinanza di sospensione del Tribunale di Milano proponevano regolamento di competenza la moglie e i figli della vittima e la causa veniva affidata alla Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione. I ricorrenti fondavano le proprie ragioni sul fatto che la sospensione ex art. 75, comma 3, c.p.p. opera quando la domanda civile è proposta dai medesimi soggetti costituti parte civile nel parallelo processo penale. Inoltre, i ricorrenti sottolineavano che la domanda da loro proposta in sede civile investiva tanto la compagnia assicurativa del veicolo quanto l’assicurato conducente, quest’ultimo unico imputato e chiamato al risarcimento in sede penale. La Terza Sezione Civile ha richiesto l’intervento delle Sezioni Unite.

IL QUESITO

Alle Sezioni Unite è stato dunque affidato il compito di risolvere la questione se il giudizio civile del caso de quo dovesse essere necessariamente sospeso nei confronti di tutti i litisconsorti, oppure solo nei confronti del conducente imputato, oppure se non operi sospensione alcuna. Per risolvere il quesito, la Suprema Corte riteneva indispensabile preliminarmente l’identificazione dei presupposti della sospensione ex art. 75 c.p.p. ed, in particolare, se la sospensione dovesse investire tutti i litisconsorti. Nel caso di specie, infatti, le parti civile costituite nel processo penale (i fratelli della vittima) non coincidevano con i proponenti azione civile (moglie e figli della vittima) che, peraltro, avevano agito non solo nei confronti del conducente-imputato, bensì anche nei confronti della compagnia assicurativa dello stesso.

LA DECISIONE

La Cassazione, attesa la sussistenza nel caso di specie di un cumulo soggettivo, ha statuito che la sospensione non è giustificata poiché l’art. 75, comma 3, c.p.p. non si riferisce al cumulo soggettivo, bensì a cause tra singole parti e quindi non si applica nel caso di litisconsorzio facoltativo, in quello di litisconsorzio necessario e nel caso siano stati citati quali responsabili civili nel processo penale alcuni o tutti i coobbligati. La ratio a fondamento delle obiezioni mosse coincide con la volontà di garantire l’autonomia di giudizi evitando esiti difformi dei giudicati. Argomentando la Cassazione conclude che qualora dovesse ritenersi applicabile la sospensione ex art. 75, comma 3, c.p.p., sarebbe inevitabilmente sacrificato, stante la non coincidenza dei soggetti coinvolti nei differenti processi, il diritto delle parti coinvolte alla rapida definizione delle loro posizioni nei differenti giudizi instaurati e ciò creerebbe un insanabile contrasto con il principio di ragionevole durata del processo garantito sia a livello costituzionale che a livello sovranazionale. Pertanto, la Corte, pronunciando a Sezioni Unite, ha accolto il ricorso presentato dalla moglie e dai figli del defunto, annullato la sospensione e disposto che il processo civile instaurato da moglie e figli della vittima non sia sospeso dal procedimento penale per non coincidenza di soggetti.

IL PRINCIPIO NOMOFILATTICO

Concludono le Sezioni Unite con il presente principio nomofilattico: “..in tema di rapporto tra giudizio penale e giudizio civile, i casi di sospensione necessaria previsti dall’art., 75 3° co., c.p.p. che rispondono a finalità diverse da quella di preservare l’uniformità dei giudicati, e richiedono che la sentenza che definisca il processo penale influente sia destinata a produrre in quello civile il vincolo rispettivamente previsto dagli artt., 651, 651-bis, 652 e 654 c.p.p., vanno interpretati restrittivamente, di modo che la sospensione non si applica qualora il danneggiato proponga azione di danno nei confronti del danneggiante e dell’impresa assicuratrice della responsabilità civile dopo la pronuncia di primo grado nel processo penale nel quale il danneggiante sia imputato”.

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avv. Anna Orofino

avv. Marco Amorese